Dobbiamo parlare del bambino indaco

IL BAMBINO INDACO DI MARCO FRANZOSO

 

Ho tardato qualche giorno rispetto alle previsioni, ma torno oggi su Il Bambino indaco, il nuovo romanzo di Marco Franzoso edito da Einaudi di cui avevo parlato settimana scorsa.

Un libro preso d’impulso dopo averne letto e condiviso l’attacco della quarta di copertina, quel “forse non è così vero che l’istinto materno non sbaglia mai” che mi ha fatto tirare un sospiro di sollievo: mio figlio è ancora abbastanza piccolo per ricordarmi in continuazione lo smarrimento dei primi tempi, il senso di totale inadeguatezza e mancanza di competenza nonostante i mesi di preparazione su ogni tipo di testo.

Resta il fatto che secondo me non si è mai veramente pronte, ad avere un figlio.

Il libro si apre sulla scena madre, e da lì parte con flashback alternati al presente, fino all’epilogo, con una narrazione circolare in cui la bravura di Marco Franzoso si sente subito: nella descrizione dei particolari, nei sentimenti non detti, nei tanti indizi disseminati sulla scena del crimine.

Tutto il romanzo è immerso nella sua scrittura asciutta, scorrevole, sicura anche nei passaggi più difficili, quelli in cui i dettagli fanno stringere lo stomaco e spostare lo sguardo.

Perché il bambino indaco è figlio di una madre inadatta, di un padre sotto choc e di una nonna risolutiva. La madre è persa in una immagine di sé lontana, spirituale, tanto da abdicare dal proprio corpo già durante la gravidanza: e in questa sua ascesa (di cui il quadro, la nuotatrice, ne diviene subito il simbolo) coinvolge la purificazione del figlio, affamandolo fino allo stremo.

La scena dell’allattamento senza latte è drammatica, permeata da una concretezza che la rende visibile: e per chi è madre, scopertamente spaventosa. Senza arrivare alla terra di frontiera di cui ci parla Franzoni, l’allattamento materno è diventato oggi il simbolo di una maternità da conquistare, ultimo baluardo della donna che, diventata madre, prova a tenere insieme tutto, con un’ansia da prestazione che è tipica del nostro tempo.

Il bambino, lui, sembra non esserci, nel suo corpo senza peso, veicolato in una situazione che precipita velocemente: e smette quasi di piangere, ai confini della mente della madre, al centro di quella del padre.

Non vi racconto altro della trama: se proprio non volete leggerlo, potete trovare recensioni che svelano molto di più. Io vi consiglio invece di immergervi nella storia: questa volta infatti non vi propongo l’incipit, ma tutto il primo capitolo, che potete scaricare in .pdf dal sito dell’editore Einaudi.

Un inizio fulminante che tiene sospesi a lungo. Più avanti, direi a metà della narrazione si ha quello che ho percepito come un piccolo cambio di registro. La storia, raccontata in prima persona dal padre, a tratti un essere passivo al limite della credibilità, ha un suo ritmo e poi accelera: peccato, perché è inquietante al punto giusto, coinvolge e funziona, ma a un certo punto lo scrittore sembra avere fretta di chiudere.

Questo bambino affamato è il mio terzo incontro con un Pietro infante. Il primo, sempre letterario, è il figlio della guerra in Venuto al mondo di Margaret Mazzantini; il secondo, è mio figlio.

Proprio mentre ero incinta di Pietro, ho letto qualcosa sui bambini indaco, e sui bambini cristallo, loro naturale evoluzione, teorie legate ai movimenti New Age di cui conosco poco per una mancanza di interesse congenita: se voi siete più curiosi e volete documentarvi su questa visione spirituale dell’infanzia, trovate sul web di tutto di più. Posso segnalarvi la lettura di un’autrice italiana, Paola Giovetti, di cui conosco Bambini cristallo – Da indaco a cristallo per un mondo migliore, letto in un momento di disperazione quando avevo autodiagnosticato a Pietro un deficit di attenzione con iperattività verso i suoi diciotto mesi.

Un’ultima annotazione: Il bambino indaco è un romanzo. L’autore premette in un’avvertenza che le vicende e i personaggi sono di fantasia, frutto di una sua personale elaborazione. Conoscevo di Franzoni il progetto Ragazze del Nordest, che è anche un libro, e credo che molto materiale possa essere arrivato da quella esperienza: perché, lo sappiamo, la realtà supera ogni immaginazione.

17 pensieri su “Dobbiamo parlare del bambino indaco

  1. Ciao 🙂 sono noemi del blog tazzina di caffè! La tua recensione è per me molto interessante: il punto di vista non solo di una lettrice, ma anche di una mamma (che coincidenza il nome Pietro). Mi ha colpita come la vita ci porti alle più diverse letture, che accompagnano le esperienze… e complimenti per il tuo blog, tornerò a trovarti 🙂

    • Grazie Noemi, che bello trovarti qui.

      Grazie per i complimenti, mi fanno piacere, come per me è un vero piacere seguire la tua attività di bookblogger!

      A presto,
      Grazia

    • Grazie Valentina,

      Il bambino indaco è un libro riuscito, una scrittura maschile che parla di maternità che vorrei venisse letto da molte madri.

      Da lettrice frequentatrice di librerie in cerca di novità, non mi è mai facile trovare libri così interessanti e al tempo stesso scritti bene: mi dà una vera soddisfazione scovarli.

      A dire il vero, ho avuto un’altra soddisfazione da questo libro, o meglio, da quanto ho scritto sullo stesso: ieri sera mi ha infatti contattata l’autore su Twitter per ringraziarmi della recensione e per dirmi che la scena dell’allattamento è la sua preferita. Anche la mia.

      Buona giornata,
      Grazia

      • Ti faccio i miei complimenti, sono felice che ti abbia contattata l’autore, non me ne meraviglio, hai scritto un’ottima recenzione.
        Una cosa che ho tralasciato prima e non ho scritto, è proprio il fatto che a scriverlo è un uomo, e questo mi incuriosisce veramente.

        Complimenti ancora,
        Valentina
        Valentina

    • Benvenuta e lieta di conoscerti: non conosco la foto di cui parli e guardo con curiosità il video che mi hai segnalato.

      Spero di avere modo di confrontarmi con te su altri temi, a presto davvero!

      Grazia

  2. Mi sembra un libro particolarissimo e scottante, per certi versi. L’istinto materno è quasi – forse togliamo il quasi – un’istituzione e metterlo in dubbio è di sicuro un elemento che scardina il consueto sentire.
    Credo sia strano questo libro, forse inquietante. Apprezzo però il fatto che si dia un’immagine diversa della maternità. Oggi il mondo vuole le madri ancora più perfette di un tempo, troppo perfette.
    Ho letto le prime pagine al link che hai indicato e questo inizio mi ha colpito profondamente. Mi è piaciuto il modo in cui è scritto, il suo linguaggio, come dici tu, asciutto, ma che fa percepire sensazioni, luoghi, persone. Penso che lo leggerò. Poi ne riparleremo.

    • Ciao Tamara,

      in attesa che tu legga Il bambino indaco mi permetto di suggerirti due belle recensioni sullo stesso: mi ci sono in parte ritrovata, e comunque danno un altro punto di vista rispetto al mio, e ritengo possa interessarti.

      Una recensione la trovi sul blog di Patrizia La Daga, tra l’altro una blogger molto interessante da seguire: è qui.

      L’altra che trovo molto interessante su TeladoioFirenze.

      Se le leggi fammi sapere cosa ne pensi!

      Grazia

      • Ho provato più volte ad accedere ai link che mi hai indicato, ma non ci sono riuscita… Pensavo fosse solo la mia connessione, ma oggi è in un momento di funzionamento quasi mistico, quindi ti volevo chiedere se puoi ricontrollarli, per favore. Grazie!!

  3. Sono molto d’accordo con te riguardo al romanzo. Mi viene da pensare a quante di queste storie arrivano sulle pagine della cronaca nera. E quanto spesso chi è vicino a queste donne, destabilizzate dalla maternità o alle quali la nascita di un figlio fa slatentizzare un problema sopito, minimizza quel che sta accadendo o addirittura fa finta di non vedere.

    • Ciao Laura, benvenuta!

      C’è una frase nel libro che, a ripensarci, stupisce per la sua estrema semplicità: la madre molte volte, troppe volte, afferma di sentirsi sola.

      I fatti di cui tu parli, quelle storie di maternità sbagliata, di orrore da prima pagina per un pubblico curioso, hanno un denominatore comune: il fatto di essere arrivati troppo tardi, di non avere capito, di non avere intuito, nonostante la richiesta fosse molto chiara: mi sento sola.

      Spero di avere modo prossimamente di confrontarmi ancora con te, buona serata.
      Grazia

    • Ciao LaBionda,
      ti ho lasciato, e me ne rendo conto solo ora dopo averlo riletto, un lungo panegirico a commento del post che mi hai segnalato: non volermene, a volte mi lascio un po’ andare e scrivo con poca sintesi nei polpastrelli!

      Mi ha fatto piacere conoscerti e conoscere il tuo blog: spero di non perderti di vista.

      Buona serata,
      Grazia

  4. Pingback: Il mio 2012 in 12 Libri | ToWriteDown

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