Contro i Papà

PRESENTAZIONE DEL LIBRO DI ANTONIO POLITO

Recensione Libro di Antonio Polito Contro i papà edito da Rizzoli

Contro i papà. Come noi italiani abbiamo rovinato i nostri figli è un libro che sta facendo discutere: lo ha scritto un giornalista de’ Il Corriere della sera, Antonio Polito, dopo il grande interesse suscitato da un suo articolo su educazione, figli e genitori apparso quasi un anno fa (esattamente il 31 gennaio 2012) sul quotidiano milanese.

Come da lui stesso rivelato, l’articolo Perché proteggiamo (troppo) i nostri figli è stato il suo scritto finora di maggior successo, che ha provocato un lungo dibattito sul sito del Corsera, ma anche telefonate, mail, contatti: da qui al libro il passo è stato breve.

Poiché un libro che cavalca un’onda non mi interessa, se poi lo fa in un’ottica che sembra etichettatabile come appartenente a un certo tipo di classe sociale mi infastidisce, inizialmente ho lasciato perdere.

Poi ho trovato sul web due articoli, questo (interessanti anche i commenti) e questo, mi sono arresa e sono andata alla presentazione del libro al Centro Culturale di Milano.

Presentazione libro Contro i papà di Antonio Polito Rizzoli editore al Centro Culturale di Milano

Polito ha presentato il suo libro Contro i papà (ci tiene: non i padri – termine che richiama qualcosa di solido, il capofamiglia, il punto di riferimento morale – ma i papà, quelli che diventano papini o paponi nel lessico famigliare) partendo da un modo di dire tipico di sua madre, quel la mangiatoia e basta corrompe anche gli animali che sta a significare che, quando non devono fare la fatica di cacciare o di pascolare, anche gli animali si intorpidiscono. Come i figli.

Polito descrive la nostra come la società della pantofola, quella in cui le famiglie si sono arrotolate su loro stesse: viviamo in una società in cui la massima aspirazione per i figli è una università a km 0, una società che preferisce investire sul mattone piuttosto che sull’istruzione dei figli.

L’origine dei mali italiani, è la teoria del libro Contro i papà, nasce dai comportamenti individuali che si sviluppano in seno alla famiglia. L’origine è culturale, non economica: oggi i ragazzi escono tardissimo da casa, molto spesso quando lo fanno restano nei paraggi, a pochi chilometri dalla casa d’origine. Si imputano queste scelte alle condizioni economiche, alla mancanza di soldi e di lavoro: statisticamente è invece dimostrato che questo fenomeno è più frequente nei casi di famiglie economicamente benestanti.

Alla presentazione del libro, edito da Rizzoli, ha partecipato anche Ferruccio De Bortoli, direttore de Il Corriere della Sera. De Bortoli ha detto di riconoscersi suo malgrado nella figura di papà iperprotettivo offerta dal libro dell’editorialista Antonio Polito:  vengo da una famiglia povera, ma ho sempre avuto una grande fortuna, quella di poter cenare tutte le sere con i miei genitori. Le cene erano il luogo del dialogo e anche dello scontro: è dallo scontro generazionale che si diventa grandi, andare d’accordo non aiuta a staccarsi dalla famiglia, ed è solo dal distacco dalla famiglia che è possibile formare la propria identità.

Voler risparmiare ai figli la fatica del vivere, voler spianare loro la strada potrebbe avere come conseguenza che la strada che stiamo preparando non porti a nulla.

Al posto di lanciarli verso una meta ambiziosa, si annullano gli obiettivi, si tende ad abbassare il livello. Così facendo diamo giudizi sulle loro possibilità di essere se stessi, di crescere, di conquistarsi un posto al mondo: gli mandiamo un messaggio sottinteso che significa non mi fido di te, delle tue potenzialità, avrai sempre bisogno di qualcuno perché da solo non puoi farcela.

In questo modo deprimiamo l’autostima dei nostri figli e facciamo pure di peggio, gli togliamo la dignità. Trattiamoli per quello che sono: individui con una personalità in formazione

Per ultimo riporto, con pochi tagli, l’introduzione al libro scritta dallo stesso autore, sperando di invogliare molti genitori (non solo i padri), a continuare la lettura e a fare partire nuove riflessioni sul tema. Che non è facile, che non è univoco, che può avere varie interpretazioni anche contrastanti, ma che di certo è cruciale per ogni genitore:

Questo è un libro contro i padri. Non contro i padri che abbiamo avuto, ma contro i papà (e i papi e i papini e i paponi) che siamo stati e siamo. I padri che abbiamo avuto, come il mio, hanno fatto il loro. Non che ci fossero molto, né che noi gli abbiamo permesso di esserci tanto, nelle nostre vite (…) Non dico dunque che ci aiutarono con il loro esempio, con i loro consigli, con la loro guida, tranne rari ed encomiabili casi. Ma si prestarono a fare ciò che da mondo è mondo un padre deve fare: opporsi al figlio. Diventarne la controparte. Incarnare uno stile di vita diverso. Impersonare il passato. Consentire che il figlio gli si rivolti contro, e così facendo conquisti la sua emancipazione. Perché se non hai un padre da cui allontanarti, non c’è modo di avvicinarti all’età adulta e al futuro. Io me ne sono accorto perfino fisicamente quando mio padre se n’è andato: era stato proprio sfidando la sua autorità morale, ribellandomi a quel costante richiamo al senso del dovere ora scomparso insieme con lui, che ho costruito l’individuo che sono. Per questo è così doloroso perdere i padri, per questo dopo ci sentiamo così soli.

Noi papà di oggi invece vogliamo fare i fratelli, non i padri. Vogliamo aderire al progetto di vita dei nostri figli, invece di lasciare che si modelli per opposizione al nostro. Vogliamo aiutarli a realizzarsi senza comprendere che l’unica forma di realizzazione è l’autorealizzazione. Diventiamo un muro di gomma contro il quale non c’è nessun gusto a sbattere, irritante e indisponente proprio perché non si può abbattere. Contro i mattoni dei solidi muri edificati dai nostri padri ci siamo fatti male, a furia di dare capocciate; ma che soddisfazione quando abbiamo aperto una breccia e abbiamo visto, dall’altra parte, la nostra vita così come ce l’eravamo conquistata.

In un celebre discorso ai laureandi dell’Università di Stanford nel 2005, Steve Jobs, un uomo che era stato rifiutato dal padre naturale alla nascita, indicò loro quella che riteneva essere la ricetta per avere successo e per fare il successo della società in cui avrebbero vissuto: «Stay hungry, stay foolish». Che si può tradurre così: «Restate affamati, restate folli». Necessità e genialità. Bisogno e talento. Gli ingredienti del progresso. 

Ecco, noi papà di oggi stiamo lanciando ai nostri figli il messaggio opposto: «Restate sazi, restate conformisti». Affamati non vogliamo che stiano nemmeno un istante. Abbiamo anzi costruito le nostre vite e la nostra società in funzione del loro nutrimento: non solo finché restano nel nido, come fanno i genitori del regno animale, ma tenendoli nel nido il più a lungo possibile, e comprandogliene uno nei pressi di casa per il dopo (…) Tutte le strategie di investimento e consumo delle famiglie italiane sono dunque fatte in funzione della protezione dei figli dal bisogno (…) Affamati, insomma, mai.

***

Con la recensione del libro Contro i papà. Come noi italiani abbiamo rovinato i nostri figli di Antonio Polito, edito da Rizzoli, partecipo all’iniziativa il Venerdì del libro, che vi invito a conoscere.

18 pensieri su “Contro i Papà

  1. Spero di avere il tempo di leggere questo libro, che dalla sola lettura di questo post ha suscitato in me sentimenti molto contrastanti.
    Sono d’accordo nel dire che è un errore spianare continuamente la strada dei nostri figli, combattere al posto loro. Però, sempre se ho ben interpretato il pensiero del Sig. Polito, essere antagonisti dei propri figli, essere a persona da cui tuo figlio, per evolvere, deve allontanarsi, rigettandone il modello, mi sembra assurdo.
    Non voglio entrare in lotta con mio figlio, così come non voglio assecondarlo se fa degli errori.
    Non voglio vivere una vita di scontri, come è stata la mia, né vivere al posto suo la sua vita.
    Voglio camminare al suo fianco, sostenerlo e condividere la sua crescita individuale, lasciandogli sempre la possibilità di fare le sue scelte e l’occasione preziosa di sbagliare.

    • Mia cara, forse per chiarire meglio il senso ultimo dell’idea di Contro i papà posso citarti il passaggio letto in conclusione d’incontro dalla moderatrice, Letizia Bardazzi, Presidente dell’Associazione Italiana Centri Culturali.

      (ebbene sì, sono una pessima reporter: riporto degli eventi a cui partecipo solo il succo, quanto secondo me è il meglio, e di conseguenza alcune cose le tralascio)

      Non è uno stralcio del libro, e non sono riuscita ad appuntarmi il testo da cui è tratto (qualcuno lo sa?), ma è stato letto in chiusura del dibattito e a mio parere ne coglie appieno il senso: dal punto di vista di una madre, come me e te, rende forse più accettabie la piccola lezione che Contro i papà impartisce a noi genitori di oggi.

      L’episodio è quello di un padre che insegna al figlio a nuotare: questo padre ha un unico grande cruccio, cercare di capire come trovare il giusto equilibrio tra il sostenere il figlio (con una mano sotto la pancia, per farlo sentire sicuro di muoversi, per fargli sperimentare liberamente il senso del galleggiare) e lasciarlo provare a stare a galla da solo, togliendo il suo sostegno.

      Il dubbio è tra se lo tengo troppo non è più libero di imparare a nuotare da solo (e quindi di essere libero) e se lo tengo troppo poco va a fondo.

      Come trovare questo equilibrio? La teoria di Polito è che questo equilibrio, che prima nei padri era così naturale, quasi un dato di fatto, e che consentiva una educazione spontanea (non severa ma neppure permissiva), oggi non è più normale, ma richiede consapevolezza, forza d’animo, riflessione.

      La stessa riflessione che il libro, che è provocazione, vuole stimolare.

  2. Anche a me la lettura del post ha suscitato reazioni contrastanti.Se da un lato non posso che condividere la tesi che un padre non puo’ e non deve impedire al proprio figlio di crescere, sostituendosi a lui e soffocandolo, dall’altro l’idea di una sorta di “abbandono” (anche se controllato) non mi piace e mi risuona nella memoria come un po’ troppo affine a stereotipi quali “i giovani italiani sono tutti mammoni (o bamboccioni che dir si voglia)”
    Mi piace pensare che si possa provare a insegnare ai propri figli a stare “hungry and foolish” perche’ a mio avviso quella di mettersi sempre in discussione, di provare costantemente a migliorasi cercando di trovare il proprio vero essere e’ un’attitudine mentale che nasce in famiglia, attraverso l’educazione.
    Solo dopo, voltandosi indietro, si potra’ “collect the dots” e analizzare il risultato.
    Grazie del suggerimento comunque, leggero’ il libro per capire meglio.

  3. Questo è un libro che leggerò. Perché mi piace la tesi, che non solo condivido ma sperimento ogni giorno a scuola; perché all’epoca pensai di avere capito il senso della provocazione (oh, quando vera) di Padoa Schioppa sui “bamboccioni”; perché sono stata cresciuta in una famiglia in cui mi è stato detto, da subito, che a 19 anni io me ne sarei andata di casa, e me la sarei cavata da sola, e sarei stata indipendente. Perché è stato duro farlo, ma mi ha dato qualcosa di impagabile (indipendente, economicamente, e dunque anche nella testa, a 19 anni!); perché mio padre è stato padre (ha sempre voluto che lo chiamassi per nome) e non papà. E questo ha portato scontri enormi. Ma anche, un senso di invidiabile (e invidiata) libertà nella mia formazione di vita. Non condivido, ovviamente, solo la citazione di Steve Jobs, che è a mio avviso vuota e sciocca tanto quanto è efficace dal punto di vista pubblicitario (Jobs non dava lezioni di vita, vendeva prodotti, e sarebbe bene che uno come Polito [se] lo ricordasse e ce lo ricordasse), oltre tutto in italiano mal tradotta. Ma lo consideriamo cedimento, a sua volta, alla logica pubblicitaria.

    • A proposito di bamboccioni, De Bortoli ha riportato un episodio interessante: quando Padoa Schioppa se ne uscì con la frase che tanto ha sconvolto gli italiani, De Bortoli rimase sconvolto a sua volta e ammise di non condividerla, di non capirla, di trovarla offensiva sia nei confronti dei giovani che dei loro genitori.

      Avendo un buon rapporto con Padoa Schioppa (collaboratore di lungo corso al Sole 24 Ore, giornale che De Bortoli ha diretto per anni) De Bortoli alla prima occasione gli ha fatto presente il suo pensiero e dalla loro conversazione sono uscite una serie di considerazioni su cui è importante riflettere.

      I bamboccioni di Padoa Schioppa, infatti, permettono di vedere da un altro punto di vista la società in cui viviamo, che è una società di anziani che non vogliono cedere il passo ai giovani, e che restano arroccati sui loro diritti (pensiamo ai diritti pensionistici acquisiti).

      Padoa Schioppa ha evidenziato che, da che mondo e mondo, i passaggi generazionali avvengono sempre attraverso una forma più o meno forte, più o meno consapevole, di scontro tra generazioni: io, come generazione precedente, cedo a te, generazione successiva, qualcosa di quanto ho costruito, ottenuto, guadagnato o preso in eredità, a patto che tu mi dimostri che hai la forza di conquistarla, di venire a prendertela.

      Traslato sul piano della famiglia, io, padre, non ti cedo i miei diritti: tu, figlio, devi venire a prenderteli.

      In questa società, per contro, si fa di tutto per evitare non solo uno scontro, ma un semplice confronto: ma, come si usa dire, non esistono pasti gratuiti, ogni cosa va conquistata e richiede responsabilità individuale e rispetto sociale.

  4. Pingback: Venerdi’ del libro: Il libro di legno | Homemademamma

  5. A me non sembra un tema originale. È non condivido neanche totalmente il suo pensiero ( premetto che non ho letto il libro). Si può essere un papino contrastando i nostri figli per insegnargli a vivere. Il contrasto solo per ricordare ai propri figli “chi è’ che comanda” non mi piace. Mio padre ha sempre detto a me e a mia sorella ” secondo me sbagli a fare questa cosa….ma fai come credi” (ciò ovviamente a conclusione di lunghi ed estenuanti dialoghi!!!!), ma poi lui era sempre li a curare le ferite!!!
    Nella crescita di un figlio non può essere solo bianco o nero…..ma ci sono altre mille colori!!

    • In effetti il punto centrale del discorso è quanto sia difficile trovare le scale di grigi corrette al fine di non eccedere da una parte (nero) o dall’altra (bianco).
      In che modo sostenere i propri figli? Fino a che punto arrivare per fare in modo che il sostegno, l’esserci, sia per loro un’esperienza da cui imparare a camminare, correre da soli, e non un modo per evitare di staccarsi, di crescere, di esercitare scelta ed autonomia con resposabilità totale delle conseguenze di ciò che si fa?

  6. Non è la prima recensione che leggo su questo libro anche se, lo ammetto, è la prima così ricca di dettagli e di spunti di riflessione. E dico questo senza assolutamente voler sottovalutare le altre… Credo che sia un libro da leggere con spirito critico e non da “lettore passivo”… Ne prendo nota.

    • Io mi rallegro del complimento ricevuto: recensire libri mi piace, e spero sempre di farlo restando comunque obiettiva, nel senso di riportare il succo del discorso lasciando al lettore un ruolo attivo. E questo libro tale ruolo lo pretende.

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