Un mio Racconto per l’Antologia Una Storia nel Cassetto

DICEMBRE, SOLO COSE BELLE #5

Doni di Nozze al Concorso MilanoSud

 

Ho un’amica che scrive e che la scorsa estate mi ha detto: Guarda, c’è la quarta edizione di un concorso letterario a cui partecipo tutti gli anni, e tutti gli anni miglioro il risultato. Quest’anno però non ho voglia di partecipare, partecipa tu.

E io le ho risposto: No, guarda, partecipiamo insieme. Perché se migliori tutti gli anni il risultato quest’anno vinci.

Sì, ma non so cosa scrivere, mi fa lei. Neanche io, le faccio io.

Fatto sta che alla fine, scambiandoci i racconti per farci l’editing a vicenda, abbiamo partecipato: lei è arrivata prima nella classifica gradimento lettori, seconda nella classifica della giuria. Bravissima.

Io mi sono classificata per il rotto della cuffia nella votazione dei lettori e mi hanno inserita in questa antologia che contiene una ventina di racconti: il Concorso si chiama MilanoSud, è ben organizzato e lo consiglio a tutti coloro che vogliono cimentarsi con il racconto breve e ricevere pareri da giurati e da lettori.

La mia amica si chiama Valeria e potete leggerla qui: la sua amicizia è uno dei regali del 2014. E poi tra qualche giorno la vedo, quindi entra di diritto tra le cose belle di dicembre.

Se volete leggere il mio racconto, lo propongo di seguito, si intitola Doni di nozze. Mi piacerebbe rimetterci le mani, c’è qualcosa che non convince non solo i giurati ma neppure me: se qualcuno ha indicazioni, suggerimenti, critiche da fare sarò felice di leggerle e poi procedere a una riscrittura.

DONI DI NOZZE 

Io non lo so come funziona tra voi e vostra moglie quando ci sono di mezzo i soldi. Non lo so e non lo voglio neanche sapere. So che con la mia le cose hanno sempre funzionato così: io che cerco di analizzare i pro e i contro, trovare soluzioni per esaudire desideri, pensare al passo successivo; lei che sembra ascoltarmi, che a volte ciondola un po’ il capo mimando un sì ponderato, e che poi fa quel che ha già deciso.

C’è stata la questione del regalo lo scorso anno, una questione non da poco.

Intendo dire: se vai a un matrimonio con tutta la famiglia, e siete in quattro, e già dal tipo di carta su cui è stampato l’invito capisci che si tratta di una di quelle cerimonie un po’ pretenziose, con i genitori che indicono le nozze in un corsivo elegante, con le maiuscole ricciute; e se con l’invito ti hanno dato anche un cartoncino più piccolo con stampato sopra l’indirizzo di una villa e l’orario di inizio della cena a cui i genitori e gli sposi sono lieti di invitarvi, tutti e quattro – ecco, non è che sia possibile cavarsela con poco.

Mia moglie queste cose non le sta neanche ad ascoltare, non ci perde tempo, lei: lascia cadere la testa per un sì che è una copertura e alla fine prende sottogamba tutta la faccenda.

Nella fretta di fare finta di nulla credo che del matrimonio non avesse neppure notato la data: coincideva, con sedici anni di ritardo, con la nostra. Non deve sembrare strano: una data per lei è una cosa che sta sul calendario.

Con quell’invito comunque era capitato un fatto nuovo: a parte il cartoncino con l’invito alla villa per la cena, dalla busta era saltato fuori anche un altro biglietto. C’era il nome di un’agenzia di viaggio, con l’indirizzo e tutto quanto, anche visita il nostro sito e metti mi piace su facebook – e c’era una bella frase stampata in grande al centro: “Lorena e Marco partiranno per il viaggio dei loro sogni: West Coast & Mexico”. In coda a tutte queste scritte c’era l’iban su cui versare i soldi per il dono di nozze, per “prendere parte al viaggio dei loro sogni”.

Dissi a mia moglie che avrei fatto io il bonifico qualche giorno dopo, dopo che avremmo capito se andare tutti e quattro o solo io e lei: il tempo di fare uscire dalla busta tutta quella carta e avevo già soppesato i pro e i contro, fatto due calcoli per una cifra equa che ovviamente si modificava se fossimo stati in due anziché in quattro.

Lei aveva mosso il capo in quel suo modo ambiguo e poi aveva detto che visto che ci avevano invitato tutti e quattro tanto valeva andarci tutti e quattro e che per il dono di nozze ci avrebbe pensato lei.

Subito dopo mi aveva chiesto di aiutarla a spostare il divano ché doveva aprire l’anta bassa della madia, quella che non si apre perché il divano la blocca. L’ho aiutata a spostare il divano quanto basta, l’ho osservata chinarsi, aprire l’anta, rovistare in ginocchio, tirare fuori un po’ di oggetti che non ricordavo stare in casa nostra. Mi sono inginocchiato anche io, ho preso in mano due candelabri di vetro color rosso fuoco che non riuscivo a ricondurre a nulla.

Mi sono rialzato lasciandola lì ché mi stanco presto di queste cose. Ho raggiunto mio figlio più piccolo nella sua camera da cui arrivava il rumore di una partita.

Quando sono tornato in soggiorno lei era sempre inginocchiata. Sul pavimento, accanto ai due candelabri c’erano altri oggetti: mia moglie li stava osservando, apriva scatole, le chiudeva.

Il sabato pomeriggio stava oramai finendo, ero un po’ sulle spine, non avevo capito cosa avremmo mangiato per cena e temevo che quello spostamento di mobili e di oggetti precludesse una fase di sistemazione domestica. Quando sento nell’aria il sospetto di grandi pulizie sto sempre sulle mie: non vorrei essere coinvolto in qualcosa che richiede la mia collaborazione, come dover recuperare la scala sul balcone.

Mi sono avvicinato con cautela: pensavo di fingere un po’ di interesse per quegli oggetti di cui non ricordavo l’esistenza, ma lei stava rimettendo tutto dentro l’anta.

Tenne fuori solo una scatola di cartone, piatta e larga. Si rialzò con quella tra le mani, lo sguardo sorridente.

– Guarda cosa ho trovato. Sapevo che era ancora da qualche parte.

– Che cos’è? – ho chiesto, con gentilezza e tutto, visto che non c’erano pulizie da fare in giro.

– Un dono di nozze.

– Le nostre nozze?

– Sì. E’ il regalo di tua zia Carmen. Lo ricordo bene.

– Ah, davvero?

Non ho mai avuto una zia Carmen ma non mi sembrò il caso di dirlo. Mia moglie continua a confondere il suo primo matrimonio con il nostro: non lo fa apposta, non riesce a capire neanche perché io sottolinei la cosa. Le chiedo sempre a che situazione si stia riferendo, e lei mi risponde con serenità sempre quella sbagliata. Dovrei smetterla di cercare di distinguere le cose quando per lei non fa differenza.

La scatola mai vista prima venne posata sul tavolo. Era di un azzurro sbiadito, gli angoli leggermente spelati, chiusa con un po’ di scotch giallo che non teneva più. La presi tra le mani lasciando che il contenuto scivolasse fuori: un involucro di plastica trasparente con dentro una grande placca di metallo.

– Attento a non rovinarlo – disse mia moglie. – E’ ancora molto bello. Pensavo che sarebbe proprio adatto per il matrimonio della figlia di Civardi.

– Mica possiamo regalare un vassoio di vent’anni fa alla figlia di Civardi! – Ero sbottato: sapevo che se ne sarebbe uscita con una scoperta delle sue. – E poi non ha fatto una lista viaggio?

– Sì, ma noi abbiamo il vassoio. Di pregio, tra l’altro. Aspetta, ti aiuto, non rovinare la scatola.

– La scatola è rovinata di suo. L’hai vista? E’ scolorita e agli angoli il cartone si è aperto, guarda: si vede il grigio sotto l’azzurro.

Lei prese il vassoio nel suo cellophane trasparente, lo infilò con un unico gesto sicuro nella scatola che richiuse con molta attenzione utilizzando il pezzetto di scotch ingiallito.

– Alla figlia di Civardi regaliamo questo vassoio. – La questione era chiusa.

 

Il matrimonio era di lì a due mesi: c’era tempo e me lo presi, questo tempo, per far fuori il vassoio e la sua scatola color nostalgia.

Civardi è un mio collega, uno dei pochi simpatici, uno di quelli con cui passare una pausa pranzo senza parlare di lavoro e neanche di famiglia, uno che se ha scaricato un film in alta definizione te lo porta subito il giorno dopo e che alle macchinette si fa trovare con la chiavetta piena.

L’ultima cosa che volevo era presentarmi alla villa che aveva affittato per la figlia con un vassoio in una scatola scorticata, un vassoio antiquato che una donna di nome Carmen e con legami di sangue con il defunto marito di mia moglie aveva acquistato in chissà quale magazzino vent’anni fa.

Ci ho messo un mese buono per avere l’occasione di andare a caccia del vassoio. Un altro sabato pomeriggio: uno di quelli in cui, ogni cinque o sei settimane, lei va dal parrucchiere. Non è una donna sciatta, mia moglie, è solo tirchia: i capelli riesce a farseli bellissimi da sola, così neri e lisci come sono ancora, il parrucchiere le serve solo per spuntarli.

Quel sabato spostai il divano per aprire l’anta bassa della madia: dentro c’era un mucchio di cose, come quando l’aveva aperta lei, e c’erano anche i due candelabri rossi, ma non il vassoio.

Ero tentato di tenerli fuori, i due candelabri: erano molto belli, avrei voluto averli sotto gli occhi spesso, infilarci delle candele color avorio, accenderle nelle sere in cui eravamo soli, io e lei. Me li ero girati tra le mani qualche tempo e alla fine li avevo posati sul pavimento. Decisi quindi di tirare fuori ogni scatola e ogni oggetto dall’anta, accerchiandomi letteralmente di doni nuziali.

Ora che li guardavo bene, che li toccavo, che li avevo così vicini, mi accorsi che erano tutti regali fatti ad una coppia di sposi: c’erano una dozzina di posate per il pesce, due svuota tasche in argento cesellato, diverse cornici lucide e pesanti, una salsiera con cucchiaio in finissima porcellana, una set per la fonduta, una icona su legno, dei ninnoli dall’aspetto fragile e costoso.

Erano in scatole o avvolti in veline, ben tenuti ma irrimediabilmente vecchi: come il vassoio che stavo cercando, segnalavano una lunga permanenza nell’inutilizzo e nell’abbandono, destino questo comune a molti doni di nozze – tanto più se le nozze sono durate pochi mesi, interrotte da un ictus fulminante.

Li guardavo e pensavo al fatto che se avessi trovato questi oggetti nei primi anni del nostro matrimonio ne sarei stato ferito: mi sarei arrabbiato, avrei aspettato mia moglie di ritorno dal parrucchiere e l’avrei aggredita, le avrei chiesto conto di questi ricordi custoditi in casa nostra.

Ma erano quasi sedici anni che era mia moglie e sapevo bene che per lei questi erano solo oggetti di buona fattura, da riciclare alla prima occasione buona. Mi chiesi anche da quanti anni stesse smerciando i doni delle sue prime nozze, in quante case di parenti e amici erano già finite boule di cristallo, posate da dessert, tazzine da caffè.

Mi ricordai di una cornice d’argento che aveva voluto regalare a tutti i costi a mia madre uno dei nostri primi natali insieme: ci aveva infilato una foto del nostro matrimonio, mia madre la teneva sul tavolino basso della sala.

Quel sabato, quando tornò con il suo nuovo taglio io avevo già risistemato con ordine tutti i doni delle sue prime nozze nella madia e spostato il divano a bloccarne l’anta bassa.

Non avevo resistito ai due candelabri. Glielo dissi subito: le dissi che mi ero ricordato di quei bellissimi candelabri e che pensavo che sarebbe stato bello usarli con delle candele color avorio.

La osservai mentre ci passava lo sguardo sopra. Lei, con quel viso che sembrava nuovo in quella acconciatura appena fatta, non sorrise, non accennò a dire nulla. Dopo qualche secondo – qualche secondo di ritardo – prese a ciondolare il capo nel suo solito modo, in quel sì che non è niente.

E poi si mise a piangere.

***

Se cercate l’antologia (quasi introvabile), dovete rivolgervi alla segreteria del Concorso (concorso@milanosud.it).  

***

Il primo di dicembre ho preso la decisione di avere e fare solo cose belle. E poi scriverle e condividerle, cercando nel quotidiano e nella memoria. Oggi è il giorno cinque e sto tenendo duro.

9 pensieri su “Un mio Racconto per l’Antologia Una Storia nel Cassetto

  1. Mi ero persa questo post! Complimenti, conosco molte persone che hanno partecipato al concorso MilanoSUD. Allora, il tuo racconto mi è piaciuto nella trama, ma trovo abbia due inconvenienti: il ritmo, frasi spesso che si chiudono con i due punti (che in genere amo molto) e poi la spiegazione, la costruzione è corretta, ma ci sono troppe frasi fatte in questo modo. E poi il finale un po’ tronco e un po’ aperto.
    Bacio

  2. Il concorso sembrava carino, e la zona mi è pure simpatica, ma poi… ho visto, tanto per cambiare, la partecipazione a pagamento, che è una variante appena appena un poco più nascosta dell’autopubblicazione. Alle quali – né l’altra, né l’una – io presto il mio nome.

    Sul racconto, oltre alla questione della punteggiatura in generale (concordo con Sandra), non solo i due punti, c’è il fatto che il finale è monco perché il racconto in realtà segue due filoni diversi, e non sceglie. Per un racconto così breve tenere due tematiche in piede porta a una sfilacciatura generale della trama, che porta via mordente perché, moltiplicando la trouvaille di scioglimento, in realtà le indebolisce entrambe.
    Ti ho fatto un editing riga per riga, ma ho usato le revisioni di word. Se mi dai un e-mail te lo mando.

    • Grazie per avermi letta ed editata: puoi scrivermi alla mail towritedown@gmail.com
      Mi metterò al lavoro a breve, non solo su questo, ma anche su altri testi: se vuoi, ti invio anche quelli, un occhio esterno mi occorre.

      Per quanto riguarda il concorso, per l’iscrizione si chiedevano 10 euro di costi di segreteria, cosa abbastanza comprensibile considerato che l’organizzatore è un’associazione non a scopo di lucro che finalizza le sue attività per favorire la lettura. I costi di segretaria, comunque, si riscontrano in concorsi ben più importanti di questo, dallo Straparola di Caravaggio (la procalmazione del vincitore è stata poche ore fa: e al secondo posto si è classificata una mia amica di vita e di scrittura, evviva!) al concorso dei concorsi per esordienti, il mitico Calvino che quest’anno chiedeva da un minimo di 100 a un massimo di 120 euro di iscrizione.

      Anche qui sono a caccia di informazioni: se conosci qualche buon concorso segnalamelo!
      Ci sentiamo via mail, grazie ancora 🙂

      • Ho abbandonato il pc per stasera, domani mando, grazie. Non ce la faccio però a farlo per altri testi, scusami, è un lavoro lunghetto e, per me, professionale e questo è tempo di scadenze. Mi ha fatto piacere farlo per questo, ma non riuscirei a mantenere un ritmo se non al prezzo di ritardatare scadenze editoriali in uscita.

        Sui concorsi, so tutto. E infatti, anche il Calvino oramai è mitico solo nel nome, temo. I costi di segreteria sono una voce standard, ma sconfessano, parola di insider, qualunque vittoria…

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