Casa di bambola è un testo teatrale che amo molto, a cui torno spesso nei miei percorsi di lettura e di approfondimento: quando cerco un personaggio femminile forte a cui ispirarmi, quando voglio una donna senza compromessi e senza vie di mezzo, una rivoluzionaria pura, penso a Nora.
Casa di bambola è stato scritto nel 1979 dall’autore norvegese Herik Ibsen, che all’epoca aveva quarantanove anni e si trovava in vacanza in Italia, ad Amalfi.
Con Casa di bambola Ibsen diede vita ad un dramma imperniato su una donna, Nora Helmer, che divenne simbolo della condizione femminile tipica di un’epoca, e soprattutto simbolo della presa di coscienza e del desiderio insopprimibile di essere se stessa.
La storia sinteticamente è questa: Nora è moglie di un avvocato, Torvald, che negli anni precedenti il racconto è stato gravemente malato (si intuisce una forma di esaurimento nervoso). Por poterlo curare, Nora ha acceso una serie di debiti (falsificando la firma del padre) con uno strozzino che è anche un dipendente del marito: per non ferire il marito, aveva detto ai tempi di aver ricevuto il denaro in dono dal padre (al quale comunque non avrebbe mai potuto chiederlo).
Incontriamo Nora nel momento in cui lo strozzino la sta ricattando: se non gli farà ottenere una promozione dal marito, gli rivelerà l’inganno della moglie.
Nora è disperata, anche perché il marito, anziché promuoverlo sta per licenziare il dipendente-strozzino. Si confida con un’amica, Cristina, che cerca anche di aiutarla, ma intanto a casa Helmer giunge una lettera che svela la situazione a Torvald. E questi, invece di capire la moglie, il suo sacrificio fatto per guarirlo, si arrabbia, se la prende con lei per l’infamia che cadrà addosso alla famiglia e al suo buon nome.
Solo successivamente, con una seconda lettera, il dipendente-strozzino restituirà le prove dei documenti contratti da Nora ai tempi del prestito (lo fa perché Cristina, amica di Nora, ha deciso di sposarlo), il marito si tranquillizzerà e proverà a ristabilire i rapporti con la moglie.
Ma per Nora è troppo tardi: dopo otto anni di matrimonio, scopre di avere sposato e fatto tre figli con una persona che in realtà non conosce veramente, un uomo che ha sostituito l’altra persona forte della sua vita, il padre, prendendone in posto e tutti i diritti. Ha capito che per Torvald lei sarà sempre un’allodoletta (nomignolo con cui l’uomo la chiama),una bambola da casa, e non la donna forte, responsabile e matura quale ella è. Si sente tradita, le sue certezze infrante e decide di lasciare la casa del marito per sempre.
Negli appunti di Ibsen riguardo a questa sua opera teatrale c’è anche questo stralcio:
Ci sono due tipi di leggi spirituali e due tipi di coscienze: una è degli uomini e una è delle donne. Non si intendono a vicenda, ma nelle questioni della vita quotidiana le donne vengono giudicate con la legge degli uomini, come se non fossero donne ma uomini. Alla fine dei giochi, la moglie perde, non sa più cosa è giusto e cosa è sbagliato; è totalmente confusa, da una parte ci sono i suoi sentimenti, dall’altra la fede nell’autorità.
Ibsen per creare il personaggio di Nora si ispirò a un’amica scrittrice, Laura Kieler, protagonista di un divorzio che fece scalpore dell’epoca, e che fu conseguenza di una vicenda molto simile ai fatti narrati in Casa di bambola.
Nel 1876 Victor Kieler si ammalò di tubercolosi: il suo medico consigliò come cura un soggiorno in una località a meridione, con un clima più adatto. Senza dirlo al marito, Laura Kieler prese in prestito il denaro per finanziare il viaggio, ma ben presto si ritrovò a dover fare i conti con i finanziatori che la ricattavano (come Nora, anche Laura firmò falsificando il nome del padre).
Purtroppo la vicenda di Laura finì ancor peggio di quella di Nora: scoperta la situazione, il marito chiese il divorzio, i figli le vennero tolti e lei ebbe un esaurimento nervoso che la portò ad essere ricoverata in un ospedale psichiatrico per molto tempo.
Non so se Ibsen considerasse Laura davvero così tanto amica: di certo c’è che in Casa di bambola ribalta la situazione, le fa prendere in mano la sua vita ed è lei che ripudia il marito. Da lettori e da spettatori non sappiamo che tipo di prezzo dovrà pagare Laura/Nora per questo suo gesto, ma sappiamo che è dovuto a una presa di coscienza che la rende una piccola rivoluzionaria delle regole dell’epoca.
Quindi, amica o non amica, mi piace pensare che con Casa di bambola Ibsen restituisca a Laura la sua dignità e, soprattutto, la libertà di scegliere.
Amo anche io tantissimo Casa di Bambola, mi piace il cammino di consapevolezza di Laura
Sì. Chissà se avrò la possibilità di rivederlo presto a teatro. Ciao, Fausta.