Blocchi che saltano

COME SVILUPPARE IL PROPRIO IO CREATIVO: ALLENAMENTI #53

Blocchi che saltano

L’esercizio diviso in due fasi, che ho proposto a dicembre (la prima parte, quella dedicata alla ricerca dell’obiettivo, a mai smettere di sognare) e a gennaio (la seconda parte, che ho titolato date un nome al sogno), conduce diritti al punto: quando si è agli stadi iniziali di un progetto è fondamentale eliminare ogni forma di resistenza o di risentimento.

E’ bene indagare non solo in superficie, ma anche in profondità per eliminare qualsiasi barriera sotterranea: visto che l’artista è un bambino, tocca alla parte adulta verificare che la situazione sia senza vincoli e priva di ostacoli, convincendo così il bambino che può iniziare a giocare, che è al sicuro.

Far saltare i blocchi è un processo di domande/risposta che Julia Cameron suggerisce di attuare non solo all’inizio di ogni nuovo progetto, ma anche in quei momenti in cui il lavoro rallenta o si arena.

Ecco a cosa trovare risposta per rimuovere gli ostacoli (e le mie risposte, faticosamente raccolte in questi ultimi mesi).

1. Elencare qualsiasi forma di risentimento (che genera rabbia) che si ha in relazione al progetto. Potrebbe trattarsi di cavilli idioti, di sentimenti così stratificati che è difficile dipanarli: ma ci si deve provare per eliminare rabbia e rancore.

Che fatica questo passaggio! Io ho dovuto ammettere con me stessa un paio di cose che avrei preferito evitare di sapere di me. In sintesi: il fatto di non volere essere mai considerata una principiante in nulla, e l’aspirazione da prima della classe – una vera persecuzione, frutto di una educazione indirizzata all’ottenimento di buoni voti. Fottesega dei voti: non voglio non scrivere per il timore di essere trattata come un calzino da rivoltare e prendere un cattivo giudizio.

2. Elencare tutte le paure riguardanti il progetto e dintorni. Si tratta dei mostri, quelli che perseguitano tutti coloro che creano, che costruiscono qualcosa di nuovo, si tratti della presentazione dello stagista di Accenture (a meno che non voglia pescarla dal database e personalizzarla solo di poco sul caso: lì andrebbe decisamente più sul sicuro) che del lavoro di uno sceneggiatore oramai affermato – tutti abbiamo i nostri mostri con cui fare i conti.

I miei mostri si chiamano: non finirò mai questa storia, non riuscirò mai a creare nel lettore l’emozione che ho addosso io, chi la leggerà penserà di me che sono deficiente, userò tutte le mie energie in questa storia e non mi rimarrà più nulla per dopo, per la quotidianità – e poi il pagliaccio, il mio IT: non troverai mai il coraggio di metterti veramente a nudo e di fare leggere ad altri quello che hai scritto. La versione pura, intendo.

3. Controllare tutto quello che si è elencato finora: manca ancora qualcosa? Se manca, scriverlo allungando gli elenchi.

4. L’ultima domanda riguarda quale tornaconto ci si aspetta dal non portare in porto il progetto. 

Qui ho due risposte semplici semplici. Il mio primo tornaconto è di continuare a pensare che prima o poi scriverò la storia che ho in testa ma che fino ad allora potrà rimanere soltanto mia, come una bambola da accudire. E il secondo è che così potrò rimanere convinta di essere una bravissima scrittrice, senza incorrere nel giudizio altrui, che potrebbe essere di gran lunga differente.

5. Infine, l’ultimo passaggio per fare saltare i blocchi è un giochino da bimbi: stringere un patto. Il patto è con l’artista dentro di noi: dividete chi si occupa della quantità e chi della qualità. E mantenete il patto.

***

Ho scritto una serie di articoli ispirati al metodo per il recupero creativo illustrato da Julia Cameron nel libro La via dell’artista e li ho raccolti in questa pagina: riflettono il percorso che sto facendo, ma leggendoli potete trovare spunti per percorrere anche voi la via fin dall’inizio.

Il prossimo appuntamento è per lunedì 10 febbraio.

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