Ci sono canzoni che al primo ascolto ti restano dentro, come emozioni che si imparano, si classificano, si possono richiamare quando occorre.
Ogni volta che le ascolti, queste canzoni, finisci in un posto che riconosci, che ti appartiene.
Sanno riportarti indietro, queste canzoni, stapparti a quello che stai facendo pensando vedendo mangiando per avvolgerti in un’emozione. Forse quella che stavi provando al primo ascolto – forse quella che avresti voluto provare al primo ascolto.
Hotel California è una di queste canzoni.
Mi ricorda un ballo. Mi ricorda un taxi. Sulla mia testa ci sono i cieli stellati di due emisferi differenti, nel cuore vivono un desiderio che è rimasto tale e un sogno che si è avverato.
Capodanno 1987. Nel paese dove vivo la cosa più eccitante che puoi fare, per evitare di passare San Silvestro in casa con i tuoi, i loro amici e i figli dei loro amici, disperati quanto te, è andare alla festa organizzata dai ragazzi dell’oratorio nei locali della scuola materna, quella che hai frequentato, quella delle suore.
Per andarci e non suicidarti prima della mezzanotte convinci le tue due amiche, quelle del cuore, quelle con cui stai diventando grande dividendo pomeriggi, merende, libri, gatti, segreti e speranze.
Convincerle non è una passeggiata, ma ti impegni: l’alternativa è non ritrovarvi, tutte e tre rapite dalle rispettive famiglie, che mal si sopportano, figurati passare un Capodanno insieme.
Convinci la prima parlandole di un ragazzo che di certo ci sarà (e convincerai subito dopo pure lui, o per te sarà finita), l’altra dicendole che stanno cercando gente per organizzare il buffet: è in fase da grande voglio fare la cuoca, una fase che è durata sì e no tre mesi, caduti proprio a cavallo dell’anno. Una botta di culo che non ti è più capitata.
Devi però dire la verità, se non altro a te stessa: le tue amiche ti servono unicamente per non andare da sola – ché per entrare in qualsiasi posto affollato che non sia casa tua ti servono ancora degli accompagnatori.
In realtà ci vai, a questa festa in un asilo di suore, per vedere Andrea. Di quello che faranno loro, quella sera, poco ti importa.
Andrea ha un paio di anni in più di te, abita a Milano, capelli e occhi scuri, accento strano, una passione per la filosofia che ancora non capisci ma che ti intriga, l’estate che si fa al tuo paese, come le vacanze di Natale e di Pasqua, ultimo di tre fratelli maschi che sembrano fotocopie fatte in anni diversi, una madre mezza santa, dita lunghe da pianista, quella che ti sembra una cultura musicale sterminata, gambe sottili sotto i pantaloncini corti che indossa ad agosto, un bellissimo giubbotto invernale che ti sembra caldissimo, che vorresti anche per te.
Alla festa ci deve essere per forza, ci sono tutti i ragazzi che frequenta nei suoi giorni piacentini.
E infatti c’è. In jeans e camicia bianca. E tu ti vergogni subito della tua gonna di taffettà e della giacca di velluto nero: sei in un asilo, mica ad un party adulto. Ma questi vestiti ti stanno bene, e soprattutto sei tu che li hai scelti.
Hotel California, dicevo.
Perché è su questa canzone che ballate, e ballate. E ballate ancora. Viene messa una mezza dozzina di volte, ed è sempre vostra.
Tanto che la impari, la impari già la seconda volta che la ascolti, appoggiata a lui che è molto più alto di te, avvolta in braccia che provi per la prima volta.
Qualche giorno prima hai letto un racconto che parla di amore, di coppie clandestine, di passioni che non invecchiano: potrebbe essere stato anche un Harmony, per quanto ricordi, ché leggevi tutto in quel periodo, ogni foglio stampato. Anche i racconti delle riviste Intimità e Confidenze che qualcuno regalava a tua madre.
In quella storia si parlava di una coppia matura, una coppia clandestina che si ritrova dopo anni in un hotel, per caso, in compagnia dei rispettivi coniugi: senza pudori, i due ex amanti si ritrovano sulla pista da ballo, abbracciati in un lento che è una specie di riconciliazione. Il narratore commenta dicendo che non ci sono dubbi, quando una donna è andata a letto con un uomo ce ne si accorge sempre da come ballano insieme. Fossero passati cent’anni.
Ecco, tu e Andrea neanche un bacio, ma tantissimi giri di Hotel California insieme.
L’hai imparata allora, dicevo.
Sai che a I had to stop for the night ce n’è ancora tanta, da ballare.
E che a Some dance to remember, some dance to forget sei arrivata quasi a un punto di svolta, che si va in discesa, d’ora in poi.
E poi che You can check out any time you like, but you can never leave non segna davvero la fine, perché ci sono ancora così tanti giri di basso e di batteria che il vostro ballo potrà ancora fingere di durare per l’eternità ed oltre.
Giri di basso e di batteria. Giri di ballo sul marmo della sala dei tuoi giochi di bambina. Giri portati dal vento di tante serate estive. Giri che hai ritrovato in una notte di sei anni fa, sul taxi che ti riportava a casa dal tuo viaggio di nozze, sotto un cielo che non è più stato il tuo e forse di nessun altro, con quella felicità pulsante per una promessa di gioia illimitata. Giri di pensieri in macchina, oggi, ascoltando questa canzone che qualcuno ha caricato su una chiavetta usb per te, senza sapere cosa avrebbe ricordato, a te e alla ragazza che vive in te.
Hotel California, dicevo.
(Photo Credits: thanks to sxc.hu)
lo sai che anche io l’adoro?
A te cosa ricorda?
Innamorata e’ una parola grossa.
Hotel California, dicevo.
Dov’è il tasto “mi piace”?
Grazie.
…’This could be heaven or this could be Hell’
Then she lit up a candle and she showed me the way…
meraviglioso il post….e meravigliosa la canzone…..non mi ricorda un momento particolare ma l’intera adolescenza e i sogni che l’alimentavano….
Le coincidenze della vita e quello che io chiamo karma musicale.
Keep calm and listen to Hotel California.
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